Nell’era della comunicazione usa e getta, le notizie vengono date in pasto ai consumatori con strategie che sfruttano il principio della bufala verosimile, ovvero di “notizia vera, finché non viene smentita”.

Vi ricordate quando i canali comunicativi erano pochi e qualsiasi informazione subiva un rigoroso accreditamento da parte degli organi di stampa prima di propagarsi? Ora non è più così, poiché le bufale ora si propagano sfruttando il terreno fertile del sapere superficiale e della scarsa soglia di attenzione. È quindi necessario un cambio di marcia.

Quando ci imbattiamo in fake news la maggior parte delle volte non lo sappiamo. Deve perciò valere il principio dello scetticismo scientifico, ovvero del valore nullo dell’informazione se non è verificabile. Ciò presuppone un’evoluzione mentale del consumatore che educhi l’editore: “se non mi fornisci dati o fonti a supporto, quello che mi proponi è da cestinare in automatico”.

Le bufale e l’atteggiamento degli utenti

Ma arginare il fenomeno delle bufale con un cambio di atteggiamento degli utenti è fattibile?

Facebook è, insieme a Twitter (ora X), il maggior veicolo di notizie ma anche di fake news. Le responsabilità sociali che questo comporta lo stanno portando a modificare sempre più velocemente gli algoritmi di interazione tra le persone.

Di pochi giorni fa è la conferma (non è una bufala ;-)) di come sia ulteriormente diminuita la visibilità organica delle pagine aziendali, quindi anche quella delle testate giornalistiche presenti sul social network, a favore delle interazioni tra le persone. Un ritorno al passato che ha il velato scopo di ridurre la visibilità iniziale di una potenziale notizia falsa.

La diffusione dell’informazione vuole essere demandata agli utenti che si informano con ricerche più mirate e che non subiscono la notizia in modo passivo. La viralità si raggiungerebbe così in modo più conscio e controllato.

Il contenuto personale per evitare il problema

Francamente la vedo come una forzatura. Il Principe dei Social Media se ne lava le mani (alla Ponzio Pilato) e lascia l’eventuale responsabilità all’utente che non è in grado di poter valutare se ciò che ha di fronte è vero falso, spesso per mancanza di competenze specifiche sull’argomento e per conseguente o collegata incapacità di cercare fonti a supporto nei canali più idonei. Senza considerare la mancanza di tempo e di voglia di approfondire.

Cosa più importante, è proprio diseducativo il concetto di evitare il problema. Dando nuovamente maggiore peso all’emotività tra gli utenti si incentivano le attenzioni verso il futile e si sminuisce l’importanza dei contenuti e dell’educazione digitale.

I social sono principalmente un bar, ma se il caffè che mi propinano è buono, non bruciato, allora il cazzeggio assume un altro valore e il web diventa un luogo di incontro più consapevole.

Black Mirror è la soluzione?

Si vocifera, e qui spero che siano realmente falsi rumors il cui scopo sia solo quello di fare drizzare le antenne sulla situazione, di un meccanismo di feedback sulla notizia di turno, tale per cui il numero di stelline ricevuto impatti sensibilmente sulla visibilità dell’articolo. Arriveremmo al “Black mirror” applicato.

Il principio democratico della “notizia senza censura” sarebbe sottoposto alla deriva anarchica della “strategia alla tripadvisor”, in cui il più furbo può, con i mezzi giusti, modificare artificiosamente l’intero sistema attraverso strategie da “mercato dei voti”. Il paradosso del fake che si somma al fake.

Da ignoranza inconsapevole ad ignoranza consapevole

Purtroppo non c’è rimedio al sapere superficiale se non la curiosità. Ignorante non è più colui che non sa le cose perché isolato ma colui che non sa come verificare le cose che gli vengono propinate. Di fatto siamo tutti ignoranti perché nessuno può sapere tutto di tutto. Su argomenti specifici magari non sappiamo neanche dove andare a cercare conferme di ciò che leggiamo, vediamo o sentiamo.

La soluzione non è semplice ma, per lo meno per quanto riguarda l’ambito scientifico o della nostra salute, possiamo non fermarci al titolo da copertina. Sui vaccini esistono studi? Sì. L’acqua calda con il limone ha le proprietà miracolose che si sentono in giro? Nulla di confermato.

Abituiamoci a chiedere, per certe informazioni, dati e fonti a supporto. E’ un diritto e un dovere. Ciò non argina il fenomeno delle bufale ma probabilmente lo rallenta in molti ambiti in cui si fa leva sulla nostra ignoranza.

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