Lo scandalo di Cambridge Analytica riporta in primo piano il concetto di privacy online.

Sui media classici è stato dato ampio risalto alla notizia, anche se in modo frammentario e confuso, dell’uso quantomeno libertino dei dati degli utenti Facebook in mano a Cambridge Analytica. Gli addetti ai lavori hanno condiviso anche articoli e valutazioni in merito sui loro profili social. Fatto sta che l’interesse attivo del pubblico al problema/scandalo è stato ed è molto basso. In Google Trends la notizia non è neanche nella top ten, scavalcata in questi giorni anche dalla dipartita dell’ultimo rinoceronte bianco settentrionale (mi dispiace sinceramente ma, ormai, pace all’anima sua). Quindi? Probabilmente il problema è a monte, nella percezione della notizia: la mancanza di stimolo personale ad una maggiore attenzione e voglia di comprendere, quindi la necessità di una minore superficialità analitica!

La concezione di privacy su FACEBOOK è bassissima

Il problema è essenzialmente culturale e demografico. L’utente medio va dai 35 ai 55 anni. Ha conoscenze web di base mediamente basse e lo svago dalla routine giornaliera nel mondo dei balocchi virtuali è la sua prerogativa. Pertanto, dove non c’è coscienza non c’è quesito. Non c’è quindi problema percepito. Inoltre il “problema” è solo una parte del tutto perché Facebook è quasi parte lesa nella questione. Facebook ha molto migliorato l’attenzione verso i dati sensibili dei propri utenti, non permettendo più di aggirare le regole come in questo caso specifico, la cui origine, di fatto, risale al 2015. Facebook fa business e permette di fare business, in un’arena che è un’opportunità per venditori ed acquirenti, secondo un meccanismo che permette di sfruttare la profilazione di massa (e non singola) degli utenti. Questo è il criterio da cui partire: il buono, nel senso di utile, che alimenta lo scetticismo e che deve porre domande, non il diavolo nascosto ovunque. A mio modo di vedere, gli allarmismi su ciò che è poco percepito non si devono sottovalutare, solo perché apparentemente non ne siamo coinvolti. Non devono tuttavia essere sopravvalutati, bensì portare ad un’analisi ragionata e non di pancia. Intanto, per chi volesse meglio comprendere il caso di Cambridge Analytica, ecco il link ad un bel post che ne spiega i dettagli.